20 settembre 2024

Napoli, ritrovato morto il cognato del boss Amato: aveva 38 anni

Daniele D’Agnese, 38 anni, è stato trovato morto sabato mattina in una stanza d’albergo situata nel cuore di Napoli, precisamente sul Corso Umberto I. Sembra che si sia tolto la vita, ma la sua morte è oggetto di un’indagine in corso. Nei prossimi giorni, verrà eseguita un’autopsia per determinare se si tratti effettivamente di un suicidio o, al contrario, di un omicidio simulato.

Napoli, ritrovato morto il cognato del boss Amato: aveva 38 anni

Il 38enne, con precedenti penali, era stato rilasciato dal carcere circa 5 mesi fa, dopo aver scontato una condanna di 12 anni con il regime carcerario del 41bis. Attualmente si trovava in libertà senza restrizioni.

La notizia della sua morte è stata riportata in anticipo dal giornale Cronache di Napoli. D’Agnese era il genero del defunto boss Pietro Amato e di sua moglie Rosaria Pagano, avendo sposato la loro figlia. Era quindi il cognato di Carmine Amato, nipote di Raffaele Amato alias “a Vicchiarella,” uno dei fondatori del gruppo dei cosiddetti Scissionisti. Questo gruppo si separò dal clan Di Lauro nei primi anni duemila, dando inizio alla prima faida di Scampia.

Negli ultimi tempi, il 38enne viveva da solo a Napoli, avendo messo fine al suo matrimonio. Aveva anche interrotto ogni contatto con il clan di camorra. Dopo la sua liberazione, non aveva ricevuto restrizioni o misure restrittive, ed era assistito dall’avvocato Luigi Senese.

Daniele D’Agnese era stato arrestato nel 2011, all’età di 26 anni, dopo essere stato latitante per 3 anni. La polizia lo aveva individuato in una villetta nella zona dei Camaldoli, dove si nascondeva insieme a Carmine Amato, che all’epoca aveva 30 anni ed era latitante da due anni. Carmine Amato era considerato il capo del clan Amato-Pagano e uno dei 100 ricercati più pericolosi d’Italia. Durante il loro arresto, entrambi indossavano magliette con l’immagine in bianco e nero di James Dean. Fu notato che all’uscita dalla Questura, D’Agnese fu baciato sulla bocca da un uomo tra parenti e conoscenti degli arrestati, un gesto che potrebbe riflettere un senso di appartenenza al clan criminale.

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